Categoria: A proposito di Noi

A SAN VITTORE QUADRANGOLARE PER TELETHON

Sabato 13 dicembre alle ore 11 il carcere milanese di San Vittore ha ospitato un torneo di calcio a cinque a favore di Telethon e della ricerca sulle malattie genetiche. Tra le quattro squadre che hanno partecipato, come ormai capita da alcuni anni,  c’era anche una rappresentativa Sancri. Dal punto di vista sportivo, come detentori del titolo, confidavamo in una prestazione all’altezza ma, ahimè, abbiamo vinto, come si direbbe nel rugby,  il cucchiaio di legno. In compenso ha vinto la solidarietà e l’obiettivo, per quanto ci riguarda,  è stato raggiunto. 

L’oro di Scampia

Lo Star Judo Club Napoli: un modo per distogliere i giovani dal rischio della criminalità

La palestra di judo di Gianni Maddaloni a Scampia, lo Star Judo Club Napoli, nasce con lo scopo di distogliere i giovani dal rischio di affacciarsi al mondo della criminalità organizzata, insegnando lo sport come sinonimo di disciplina e rispetto degli altri e di se stessi. Maddaloni, con questo titolo, ci vuole però ricordare quanto quei valori siano già presenti sul territorio, e lo fa raccontandoci le storie dei suoi ragazzi, le vicende di chi vuole avere una vita al di fuori dagli schemi offerti dalla criminalità organizzata, sfruttando possibilità e prassi che Scampia offre, ben lontano dalle facili semplificazioni in cui è facile cadere. L’oro di Scampia ci ricorda quanto un qualsiasi luogo non vada mai visto secondo un’unica lente semplificatrice, ma secondo la sua complessità, e quanto il valore delle passioni e delle scelte personali sia vero volano del cambiamento.
Giovanni Malagò, presidente del Coni, durante la presentazione del libro avvenuta nel salone d’onore il 24 novembre scorso, ha affermato: “Maddaloni è un esempio più unico che raro di una persona che, da un avamposto contro il degrado e l’illegalità, ha avuto il dono di avere un figlio che ha vinto la medaglia d’oro olimpica. Il coronamento di un percorso. Giovanni è un gigante, sa quanto gli sono vicino e sono contento che attraverso questo libro possa raccontare a una vasta platea tutte quelle storie che hanno caratterizzato la sua attività in questi anni”.
Maddaloni ha ringraziato affettuosamente: “In questo libro ci sono i miei sogni, le mie sofferenze, le mie vittorie sociali e sportive… Quello che stiamo vivendo è un momento in cui le brave persone stanno prendendo il sopravvento. L’ho capito dall’elezione di Papa Francesco, un umile che ha fatto riavvicinare tanti cristiani che si stavano allontanando dalla fede”. L’autore però ricorda a tutti che: “Bisogna stare uniti perché se vogliamo migliorare lo sport è necessario tagliare i rami secchi e buttare giù le zavorre che non ci fanno decollare”.

Chi è Gianni Maddaloni
Arti marziali come strumento di educazione delle persone, come mezzo per imparare la coesistenza civile, per riscattare un quartiere, come quello di Scampia, troppo spesso preso ad esempio come il peggio di Napoli. E’ la sfida che giorno dopo giorno ha accettato la famiglia Maddaloni, a cominciare dal padre Giovanni (autore del libro), al figlio Pino, olimpionico (oro a Sydney nel 2000 e oggi tecnico della nazionale), agli altri componenti della famiglia: Laura, tredici volte campionessa d’Italia e moglie di Clemente Russo; Marco, due volte campione europeo; la piccola Serena, 7 anni, cintura marrone. La palestra di Maddaloni è conosciuta a livello nazionale e ha ispirato una fiction tv dal titolo “L’oro di Scampia”.

Titolo: L’Oro di Scampia
Autore: Gianni Maddaloni
Editore: Baldini & Castoldi
Pagine: 256
costo: 16 euro
Pubblicazione: novembre 2014

Progetto «Oratori sicuri»

imageFormazione per l’utilizzo dei defibrillatori. A novembre 2014 e in gennaio 2015 saranno attivati nuovi corsi teorici e pratici in tre sedi a Carate Brianza, a Saronno e a Milano. Le iscrizioni sono aperte.

Un supporto indispensabile per consentire di praticare lo sport di base nelle opportune condizioni di sicurezza e garanzia per la salute. È il corso – aperto a tutti, ma rivolto in particolare ad allenatori, educatori e animatori, in programma in autunno (i dettagli in fondo alla notizia) – promosso a Milano dalla Fondazione Oratori Milanesi e dal Comitato provinciale del Centro Sportivo Italiano, su proposta della Croce Bianca e delle Misericordie e in collaborazione col 118 locale, con due finalità: diffondere la cultura dell’emergenza cardiologica tra le società sportive oratoriane e creare i presupposti per attuare rapidamente le manovre di rianimazione cardiopolmonare e la defibrillazione precoce.
Era il 14 aprile 2012, allo Stadio Adriatico di Pescara si giocava la partita di serie B tra i padroni di casa e il Livorno. Improvvisamente il centrocampista dei toscani Piermario Morosini si accasciò a terra in seguito a una crisi cardiaca: a nulla valse l’immediato ricovero in ospedale. Cardiomiopatia aritmogena, decretò la perizia medica. Ma si stabilì anche che, se i medici avessero utilizzato un defibrillatore (che non c’era), Morosini avrebbe potuto salvarsi. La morte di un calciatore professionista in simili circostanze portò alla luce un problema fin lì ignorato e sottovalutato, con un corredo di cifre illuminanti: 3 atleti su 10 colpiti da arresto cardiocircolatorio (calcio, calcetto, atletica e ciclismo gli sport più “a rischio”) possono salvarsi se soccorsi entro pochi minuti con le tecniche di rianimazione e l’uso del defibrillatore.

Il caso-Morosini spinse a correre ai ripari, in primo luogo dal punto di vista legislativo. “In Italia, fin dal 2001, esisteva una normativa che prevede l’utilizzo del defibrillatore anche da parte di personale non medico – spiega Sergio Ripa (nella foto a destra), già consigliere della Confederazione Nazionale Misericordie d’Italia, tra gli artefici del corso milanese -.Mancavano però i decreti attuativi, che dovevano definire in concreto le persone preposte a questi interventi e la formazione a cui avrebbero dovuto sottostare. Una “lacuna” colmata nel 2011, dopodiché nel 2013 Regione Lombardia ha fatto sue queste normative. Adesso si sta provvedendo alla diffusione dei defibrillatori sul territorio”.

L’apparecchio in questione, mediamente, costa attorno ai 1300, 1500 euro. Oggi – parlando di calcio – ogni squadra di Prima e Seconda Divisione ne è dotata, così come le società di serie D (è la stessa Lega Dilettanti a inviarlo a quelle sprovviste). Nello sport di base, come quello d’oratorio, l’obbligo ricade sul presidente della società sportiva, anche perché il Csi (istituzione di riferimento di questo mondo) affilia oltre 13 mila sodalizi e non potrebbe provvedere autonomamente.

Ma com’è la situazione? “Allo stato non si può negare una relativa arretratezza – ammette Ripa -. In parte per i costi da sostenere, che a volte rappresentano un ostacolo insormontabile; in parte per la necessità di formare all’utilizzo un numero adeguato di persone. Col vantaggio, però, rappresentato dalla maggiore sensibilità e predisposizione all’aiuto all’altro che in genere anima le persone attive negli ambienti oratoriani”.

L’utilizzo del defibrillatore è abbastanza semplice: nel caso di un malore in seguito al quale una persona perde conoscenza, basta applicare un elettrodo sotto l’ascella sinistra e l’altro sul pettorale destro; in questo modo l’apparecchio effettua la diagnosi, comunicando se chi interviene deve applicare o meno la scarica. Per acquisire dimestichezza e imparare a intervenire con efficacia in caso di necessità è sufficiente un corso di 5-6 ore, come quello attuato a Milano. Precisa Ripa: “Da una riflessione congiunta con i responsabili del 118 è emersa la convinzione che la collaborazione tra il soggetto istituzionale e il volontariato preposto al primo soccorso, come le Misericordie, poteva alleviare gli oratori dei costi di formazione. Così è nata l’idea di un corso gratuito e aperto a tutti”.

Accolta con favore da Fom e Csi, la proposta è sfociata nell’organizzazione di una prima sessione primaverile, che ha portato all’abilitazione di circa 150 persone. “Un’esperienza molto positiva per l’interesse e l’entusiasmo riscontrato nei partecipanti – rileva Ripa -. Inizialmente si sono accostati alla materia con un certo timore, perché ovviamente ci si augura di non dover mai ricorrere a “pratiche” di questo tipo. Ma l’evoluzione della medicina ha reso le tecniche di rianimazione intuitive e molto facili da applicare da parte di persone debitamente formate. L’esito finale è stato del tutto soddisfacente e col prossimo corso puntiamo a replicarlo”. 

IL NUOVO CORSO SI SVOLGERA’ A NOVEMBRE E GENNAIO IN PIU’ SEDI

E’ NECESSARIO PARTECIPARE A 1 SESSIONE TEORICA E 1 SESSIONE PRATICA SCEGLIENDO (PREVIA ISCRIZIONE) L’UBICAZONE PREFERITA

LA TEORIA
Le sessioni teoriche si terranno lunedì 3 novembre a Carate Brianza (via A. Colombo 4), martedì 5 novembre a Saronno (via Legnani 1), giovedì 6 novembre a Milano (p.zza S. Marco 2), dalle 20.45 alle 22.45.

LA PRATICA
La sessione pratica (3 ore) è in programma sabato 8 novembre a Rho (via Bettinetti 60). A gennaio la sessione teorica si terrà lunedì 12 a Carate Brianza, mercoledì 14 a Saronno e giovedì 15 a Milano; la sessione pratica sarà sabato 17 gennaio a Rho.
Al termine è prevista una fase valutativa: superandola si riceverà il certificato di Soccorritore Blsd (Basic life support-defibrillation)

Iscrizioni on line CLICCANDO QUI

Info: tel. 02.58391355 (lun-ven, ore 9.30-13 e 14-17); segreteriafom@diocesi.milano.it.
Su richiesta dei partecipanti alla prima edizione, verranno organizzati anche corsi di primo soccorso in materia sportiva e pediatrica.

 

20 Settembre 2014: Primo Memorial Rebecca

 

MemorialRebecca
Vai al sito dell’associazione “con i piccoli angeli”

Il Memorial Rebecca è nato per caso. Un incontro fortuito tra la Sancri e l’Associazione “con i piccoli angeli”. L’idea di poter contribuire ad un progetto ambizioso (un ospice pediatrico) nel ricordo di una bimba di 8 anni ci ha subito fatto scattare la scintilla. E abbiamo usato il calcio dei più piccoli per arrivare allo scopo. Con poco tempo per organizzare e grazie alla disponibilità di altre associazioni sportive che ringraziamo (Odi Turro, Accademia Inter, Enotria, Real Crescenzago, Greco, Villa) abbia “tirato su” un pomeriggio di sport sui campi verdi della Sancri. Atmosfera tranquilla senza le esasperazioni che ahimè colpiscono anche il calcio giovanile. Tutti gli atleti premiati con spille e matite nel segno di Rebecca. Grazie a tutti i soci e collaboratori che si sono adoperati per questa occasione. E grazie a Fabio e Anna, i genitori di Rebecca, per averci dato l’opportunità di utilizzare lo sport per ricordare la loro bambina e per ricordare a noi come può essere bello impegnarsi tutti assieme per uno scopo così nobile.   

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli 11 videogiochi sportivi che hanno segnato un’epoca

Da Eurosport0 6 agosto 2014  

Grafiche spettacolari e iperrealistiche, giocabilità e fluidità incredibili, possibilità di giocare online e di personalizzare giocatori e squadre: al giorno d’oggi, sono caratteristiche che ci aspettiamo di trovare in qualsiasi videogame sportivo, anche di bassa lega, ma per arrivare agli standard attuali, l’industria dei videogiochi si è evoluta lentamente nel tempo attraverso una serie di tappe e capisaldi. Quali sono i giochi che hanno segnato un’epoca e che resteranno sempre indelebili nei nostri ricordi?

PONG (1972) – Uno schermo nero con due barrette verticali alle estremità e una pallina (quadrata, in realtà) che rimbalza da una parte all’altra: prodotto dalla Atari, PONG è stato il primo vero video-game sportivo (simula, come suggerisce il nome, una partita di tennis-tavolo) a raggiungere le grandi masse, Nonostante la grafica estremamente minimalista e la semplicità del game-play in sé, PONG si è trasformato, col tempo, in una icona popolare: anche se siete nati dopo gli anni ’70, non potete non riconoscerlo o, quantomeno, aver giocato almeno una partita su un emulatore.

TRACK & FIELD (1983) – Prodotto dalla Konami in vista delle Olimpiadi di Los Angeles 1984, ha segnato una svolta nella modalità di gioco, basata sulla rapida pressione dei tasti. Sei le discipline in cui competere, in una sorta di esathlon comprendente i 100 metri, il salto in lungo, il lancio del giavellotto, i 110 metri ostacoli, il lancio del martello e il salto in alto: se lo avete finito almeno una volta, probabilmente ricorderete di aver avuto il braccio in fiamme per qualche minuto, tanta era la foga con cui venivano schiacciati i tasti per rendere il nostro atleta virtuale il più performante possibile. Ma la firma del nuovo record del mondo era un’ottima medicina…

NBA JAM (1993) – Schiacciate con voli surreali, canestri realizzati in condizioni di equilibrio impossibili, tiri da tre punti infuocati: prodotto dalla Midway, NBA Jam ha saputo mischiare in maniera spettacolare ed estremamente coinvolgente lo sport con l’immaginazione e la fantasia, permettendo ai propri atleti virtuali acrobazie e gesti possibili soltanto nei sogni, e per questo di grande impatto sulla fantasia dei fruitori dell’epoca, che stavano facendo la conoscenza con la NBA e il Dream Team. Un 2-contro-2 senza esclusione di colpi, con la possibilità di scegliere tra tutte le franchigie NBA e utilizzare in prima persona le grandi leggende dell’epoca, compresa la chicca di Mike Iuzzolino (poi visto a lungo in Italia) con i Dallas Mavericks.

VIRTUA STRIKER (1994) – Sviluppato da Sega, è stato il primo videogame sportivo ad utilizzare un sistema di grafica 3D, dando finalmente profondità al gioco e all’azione, altrimenti appiattito su disegni bidimensionali. La prima versione del gioco, edita nel 1994, è stata poi seguita da una lunga serie in cui ha brillato Virtua Striker 2, prodotto in occasione dei Mondiali di calcio di Francia ’98 e che dava la possibilità di scegliere fra le squadre di tutto il mondo e disputare il torneo partendo dagli ottavi.

GRAND PRIX 2 (1996) – Meglio conosciuto come GP2, è stato il primo simulatore di guida a segnare un’epoca per il suo realismo e giocabilità: prodotto dalla MicroProse sotto licenza ufficiale della FIA, schierava squadre e piloti del 1994 con la possibilità di partecipare all’intero Mondiale di F1 attraverso 16 Gran Premi, con partenza in Brasile e chiusura della stagione in Australia. Rispetto ai classici simulatori di guida, GP2 presentava un motore grafico molto più realistico, un’intelligenza artificiale migliorata e opzioni di guida innovative: certo, per i principianti c’era sempre la modalità “indistruttibilità”, che permetteva di uscire indenne da ogni incidente, ma anche di speronare le macchine avversarie così da riuscire ad avvantaggiarsi e vincere la corsa.

FIFA 98 (1997) – Prodotto dalla EA Sports in vista dei Mondiali di Francia (il nome originale, in realtà, era “FIFA: Road to World Cup 98”) è stato una delle migliori versioni del gioco delle origini (probabilmente dopo quella del 1996) per grafica, giocabilità e quantità/accuratezza di squadre e giocatori disponibili. Il gioco, con telecronaca in italiano affidata a Massimo Caputi e Giacomo Bulgarelli, presentava la possibilità di disputare 11 campionati nazionali e di utilizzare qualsiasi squadra nazionale attraverso un lunghissimo percorso che cominciava con le qualificazioni al Mondiale fino alla fase finale della competizione stessa, con esultanze varie e sfrenate per i gol realizzati. Curiosa, divertente e molto apprezzata dagli utenti era anche la modalità calcio a 5, con partite giocate nello stadio coperto, già sdoganata con Fifa 97 ma molto migliorata. Famosissima anche la colonna sonora del gioco, tanto che “Song 2”, più che un grandissimo successo dei Blur, era diventata la canzone di Fifa 98…

VIRTUA TENNIS (1999) – Otto campioni che si sfidano nei quattro Grandi Slam prima del grande match finale, a Los Angeles: se PONG ha segnato l’inizio dell’epoca dei videogame sportivi, Virtua Tennis ha portato il tennis stesso all’estrema potenza nelle sale giochi prima e nelle consolle successivamente, con le sue evoluzioni. Jim Courier, Tommy Haas, Tim Henman, Thomas Johansson, Yevgeny Kafelnikov, Carlos Moya, Mark Philippoussis e Cédric Pioline, tutti con un colpo o una particolarità speciale che li contraddistingueva evidenziando i loro reali punti di forza: si partiva da Melbourne (cemento), per arrivare poi a Parigi (terra), New York (cemento) e Wimbledon (erba), quattro match in serie con difficoltà crescente per raggiungere il prestigioso Sega Grand Match sul tappeto di Los Angeles.

NBA LIVE 2000 (1999) – Per grafica (rapportata agli standard dell’epoca) e giocabilità, è stato probabilmente uno dei migliori titoli della serie, in cui era ancora possibile disputare una partita intera (di 48 minuti, per intenderci) e collezionare statistiche complessive realistiche, con un buon bilanciamento fra tiri tentati e sbagliati, punti realizzati, rimbalzi, stoppate, recuperi, e così via. Tra le principali caratteristiche innovative del gioco, c’era la possibilità di utilizzare squadre composte da All-Star del passato e di affrontare anche Michael Jordan, alla sua prima ufficiale apparizione nella serie; oltre alla modalità 1-contro-1 al campetto e a quella gestionale molto più accurata (draft compreso), NBA Live 2000 permetteva all’utente di creare nuovi giocatori con volti più o meno realistici, grazie all’opzione “Face in the game” che trasformava una vera foto in una figura 3D.

TONY HAWK’S PRO SKATER (1999) – Rilasciato dalla Neversoft, è il capostipite di una fortunatissima serie che è proseguita, con grande successo, fino ai giorni nostri. La leggenda dello skateboard statunitense, Tony Hawk, ha partecipato in prima persona allo sviluppo del gioco e alla creazione dei trick necessari per superare i vari livelli: il game-play innovativo, le modalità di controllo e il design accurato lo hanno portato presto in cima alle classifiche dei giochi più venduti e a un grande successo mondiale. Oltre a Tony Hawk, era possibile scegliere altri 9 skater (con rispettive voci e tavole) che si sfidavano su 9 piste differenti: il superamento di un livello permetteva di sbloccare personaggi, contenuti e accessori nuovi.

ISS PRO EVOLUTION (1999) – Il terzo titolo della serie prodotta dalla Konami è stato quello che ha definitivamente aperto il conflitto con Fifa per il dominio nel mercato calcistico dei video-game. Rispetto alle versioni precedenti, quella del 1999/2000 presentava animazioni e un game-play molto più realstico, con grafica, movimenti e caratteristiche dei giocatori decisamente più accurate. Il gioco conteneva 53 nazionali di calcio e 16 squadre di club, senza però licenza ufficiale: così, nonostante squadre, stadi, loghi e colori delle divise fossero ufficiali, i nomi dei giocatori venivano storpiati anche in modo grottesco, una particolarità, però, che ha reso il gioco ancor più famoso e divertente.

CHAMPIONSHIP MANAGER 2001/02 (2001) – E’ l’edizione prodotta per il decimo anniversario della serie Championship Manager, più conosciuta in Italia con il nome di “Scudetto”. Nata dieci anni prima con una grafica molto minimalista e la possibilità di scegliere soltanto fra le 4 divisioni inglesi e le maggiori coppe europee, la serie si è poi sviluppata in maniera costante e impressionante nel corso della decade fino ad arrivare a un pool di giocatori enorme ed estremamente dettagliato e all’introduzione di opzioni per gestire/allenare la squadra sempre più numerose e realistiche. Nella versione del 2001/02, è possibile controllare tutte le società italiane dalla Serie A alla C2, con un database complessivo di oltre 100.000 giocatori, compresi tantissimi giovani da scoprire, seguire e acquistare.

 

di Daniele FANTIN

FEDERAZIONE ITALIANA GIUOCO CALCIO SETTORE GIOVANILE E SCOLASTICO: Comunicato n° 1

                                                              COMUNICATO N°1 SGS
figcSTAGIONE SPORTIVA 2014/2015
INDICE
PREMESSA
1. ATTIVITA’ di BASE
2. ATTIVITA’ GIOVANILE AGONISTICA
3. ATTIVITA’ di CALCIO FEMMINILE
4. ATTIVITA’ di CALCIO a 5
5. ATTIVITA’ SCOLASTICA
6. TUTELA della SALUTE e della SICUREZZA
7. NORME GENERALI per lo svolgimento delle attività giovanili
8. REGOLAMENTAZIONE dei TORNEI organizzati dalle società

                                            ALLEGATI

Il 07 Giugno il Papa ha incontrato il CSI

Le parole di Papa Francesco

Lo sport è una strada insieme a educazione e lavoro

Cari amici del Centro Sportivo Italiano!

Vi ringrazio per la vostra presenza – siete tanti! – e ringrazio il Presidente per le sue cortesi parole.

È una vera festa dello sport quella che stiamo vivendo insieme qui in Piazza San Pietro, che oggi ospita anche dei campi di gioco. Ed è molto buono che abbiate voluto festeggiare il vostro settantesimo compleanno non da soli, ma con l’intero mondo sportivo italiano rappresentato dal CONI, e soprattutto con tante società sportive. Complimenti! Adesso manca solo la torta, per festeggiare il 70.mo compleanno!

Il saluto più grande è per voi, cari atleti, allenatori e dirigenti delle società sportive. Conosco e apprezzo il vostro impegno e la vostra dedizione nel promuovere lo sport come esperienza educativa.

Voi, giovani e adulti che vi occupate dei più piccoli, attraverso il vostro prezioso servizio siete veramente a tutti gli effetti degli educatori. È un motivo di giusto orgoglio, ma soprattutto è una responsabilità! Lo sport è una strada educativa. Io trovo tre strade, per i giovani, per i ragazzi, per i bambini. La strada dell’educazione, la strada dello sport e la strada del lavoro, cioè che ci siano posti di lavoro all’inizio della vita giovanile! Se ci sono queste tre strade, io vi assicuro che non ci saranno le dipendenze: niente droga, niente alcol. Perché? Perché la scuola ti porta avanti, lo sport ti porta avanti e il lavoro ti porta avanti. Non dimenticate questo. A voi, sportivi, a voi, dirigenti, e anche a voi, uomini e donne della politica: educazione, sport e posti di lavoro!

È importante, cari ragazzi, che lo sport rimanga un gioco! Solo se rimane un gioco fa bene al corpo e allo spirito. E proprio perché siete sportivi, vi invito non solo a giocare, come già fate, ma c’è qualcosa di più: a mettervi in gioco nella vita come nello sport. Mettervi in gioco nella ricerca del bene, nella Chiesa e nella società, senza paura, con coraggio ed entusiasmo. Mettervi in gioco con gli altri e con Dio; non accontentarsi di un “pareggio” mediocre, dare il meglio di sé stessi, spendendo la vita per ciò che davvero vale e che dura per sempre. Non accontentarsi di queste vite tiepide, vite “mediocremente pareggiate”: no, no! Andare avanti, cercando la vittoria sempre!

Nelle società sportive si impara ad accogliere. Si accoglie ogni atleta che desidera farne parte e ci si accoglie gli uni gli altri, con semplicità e simpatia. Invito tutti i dirigenti e gli allenatori ad essere anzitutto persone accoglienti, capaci di tenere aperta la porta per dare a ciascuno, soprattutto ai meno fortunati, un’opportunità per esprimersi.

E voi, ragazzi, che provate gioia quando vi viene consegnata la maglietta, segno di appartenenza alla vostra squadra, siete chiamati a comportarvi da veri atleti, degni della maglia che portate.

Vi auguro di meritarla ogni giorno, attraverso il vostro impegno e anche la vostra fatica.

Vi auguro anche di sentire il gusto, la bellezza del gioco di squadra, che è molto importante per la vita. No all’individualismo! No a fare il gioco per se stessi. Nella mia terra, quando un giocatore fa questo, gli diciamo: “Ma questo vuole mangiarsi il pallone per se stesso!”. No, questo è individualismo: non mangiatevi il pallone, fate gioco di squadra, di équipe. Appartenere a una società sportiva vuol dire respingere ogni forma di egoismo e di isolamento, è l’occasione per incontrare e stare con gli altri, per aiutarsi a vicenda, per gareggiare nella stima reciproca e crescere nella fraternità.

Tanti educatori, preti e suore sono partiti anche dallo sport per maturare la loro missione di uomini e di cristiani. Io ricordo in particolare una bella figura di sacerdote, il Padre Lorenzo Massa, che per le strade di Buenos Aires ha raccolto un gruppo di giovani intorno al campo parrocchiale e ha dato vita a quella che poi sarebbe diventata una squadra di calcio importante.

Tante delle vostre società sportive sono nate e vivono “all’ombra del campanile”, negli oratori, con i preti, con le suore. E’ bello quando in parrocchia c’è il gruppo sportivo, e se non c’è un gruppo sportivo in parrocchia, manca qualcosa. Se non c’è il gruppo sportivo, manca qualcosa.

Ma questo gruppo sportivo dev’essere impostato bene, in modo coerente con la comunità cristiana, se non è coerente è meglio che non ci sia! Lo sport nella comunità può essere un ottimo strumento missionario, dove la Chiesa si fa vicina a ogni persona per aiutarla a diventare migliore e ad incontrare Gesù Cristo.

Allora, auguri al Centro Sportivo Italiano per i suoi 70 anni! E auguri a tutti voi! Ho sentito prima che mi avete nominato vostro capitano: vi ringrazio. Da capitano vi sprono a non chiudervi in difesa: non chiudetevi in difesa, ma a venire in attacco, a giocare insieme la nostra partita, che è quella del Vangelo.

Mi raccomando: che tutti giochino, non solo i più bravi, ma tutti, con i pregi e i limiti che ognuno ha, anzi, privilegiando i più svantaggiati, come faceva Gesù. E vi incoraggio a portare avanti il vostro impegno attraverso lo sport con i ragazzi delle periferie delle città: insieme con i palloni per giocare potete dare anche ragioni di speranza e di fiducia. Ricordate sempre queste tre strade: la scuola, lo sport e i posti di lavoro. Cercate sempre questo. E io vi assicuro che su questa strada non ci sarà la dipendenza dalla droga, dall’alcol e da tanti altri vizi.

Cari fratelli e sorelle, siamo alla vigilia di Pentecoste: invoco su di voi una abbondante effusione dello Spirito Santo, che con i suoi doni vi sostenga nel vostro cammino e vi renda testimoni gioiosi e coraggiosi di Gesù Risorto. Vi benedico e prego per voi, e vi chiedo di pregare per me, perché anche io devo fare il mio gioco che è il vostro gioco, è il gioco di tutta la Chiesa! Pregate per me perché possa fare questo gioco fino al giorno in cui il Signore mi chiamerà a sé. Grazie.

Al termine dell’incontro, il Papa ha aggiunto: Adesso facciamo una preghiera in silenzio, tutti. Ognuno di voi pensi alla sua squadra, ai suoi compagni di gioco, ai suoi allenatori, alla famiglia. E preghiamo la Madonna perché benedica tutti: Ave o Maria, …

La Sancri è…viva!!!

In un caldo pomeriggio di Maggio, reso rovente dalla tensione di una sfida da dentro o fuori, la Sancri ha vinto l’ennesima battaglia. In un atmosfera  che ai più vecchi di noi  ha ricordato un famoso western degli anni 50 e in un campo di altri tempi (il campo calcareo accecava per il suo biancore)  l’ultima sfida è stata vinta grazie al grande cuore dei nostri ragazzi. Una partita in salita, dominata dalla paura di perdere, giocata sui nervi, in cui la paura del sogno che si poteva spezzare e diventare un incubo l’ha fatta da padrone. Ma nell’arena della Sancri tutto può accadere. E quello che tutti noi speravamo accadesse è accaduto. Ed è stata gioia vera con le lacrime che  si sono mescolate alla sabbia creando un immaginario trofeo in onore alla voglia di non mollare, alla forza del gruppo. La grandezza  dell’impresa in questo sms di Andrea Ferrari, uno di noi: “Non importa quanto grande sia il nostro posto nella storia di questa città, ciò che importa realmente è che noi oggi abbiamo conquistato il diritto di farne parte. Grandi”

 

EVVIVA LA SANCRI!!!

 

“Nel nome del rugby” nascono grandi sentimenti

Mauro Bergamasco e Francesca Boccaletto si raccontano attraverso la palla ovale

E’ una vicenda che passa attraverso il rapporto che lega un padre a un figlio. Il tutto filtrato attraverso le immagini di uno sport potente come solo il rugby riesce a essere. Leggendo le 111 pagine del racconto si avverte e si respira tutto ciò che contraddistingue questa disciplina, maschia per definizione: l’odore del sudore e dell’erba che inevitabilmente si infila nelle scarpe e sotto le pieghe delle maglie. Il libro racconta la storia di un bambino diventato campione e del suo rapporto con la palla ovale. A scrivere è la giornalista Francesca Boccaletto, collaboratrice del Corriere del Veneto, insieme alla “leggenda della palla ovale”, Mauro Bergamasco, entrambi padovani.
Il racconto scava e indaga nell’intimo dei protagonisti per scoprire le ragioni di una passione sportiva che accumuna ben due famiglie: quella di Mauro e del fratello Mirco, figli di Arturo Bergamasco, campione di rugby, ex Azzurro, poi allenatore, e la famiglia della stessa Boccaletto e di suo padre Lucio, che ha giocato in Nazionale negli anni ’70. Non si tratta solo di un libro che parla di sport, ma piuttosto di una lunga conversazione tra due amici, Mauro e Francesca, nella vita dei quali il rugby ha giocato un ruolo da protagonista.
Da Padova, Mauro e il fratello Mirco hanno girato il mondo, andando dove il rugby li portava, sempre legati alle loro radici. Un destino simile a quello dell’amica giornalista e non campionessa della palla ovale, ma ugualmente segnata dalla stessa filosofia di vita del rugby. “E’ uno sport che, come la vita, richiede uno sforzo – scrive Francesca Boccaletto nel libro -. Che t’invita a dare ancora quando pensi di non averne più. Che t’insegna a non piangere, a non crollare, ma ad avanzare metro dopo metro portandoti dietro, spesso, il peso di altri quattordici uomini. Proprio per questo il rugby è uno sport straordinario. T’insegna a gestire il dolore, a condividere la gioia, a mantenere lo sguardo verso la meta. Mi sento una privilegiata perchè tutto questo l’ho imparato, l’ho divorato, l’ho fatto mio”. Tantissimi gli episodi ricordati come l’atmosfera gioiosa del centro estivo Campus Rugby creato da Mauro Bergamasco che insegna ai bambini dai 10 ai 13 anni a giocare a rugby, a vivere insieme in squadra.
Sempre presente, la relazione padre – figlio. “Mio padre mi ha insegnato che spesso sono più utili le critiche che i complimenti – confida Mauro Bergamasco – . Nonostante sia suo figlio, sento sempre che il suo consiglio supera il legame di sangue. Quello che sono diventato lo devo soprattutto a lui e a mia madre, a quella cura, a quelle attenzioni che mi hanno sempre riservato”.
A rendere il tutto più intenso il percorso interiore dell’autrice, che analizza il rapporto d’amore con suo padre, simile a una simbiosi. E trova la forza di conquistare la propria autonomia. “Per me è molto più che un semplice libro – scrive Francesca Boccaletto – . E’ la mia evoluzione e la mia terapia. E’ il mio salto tra libertà e amore eterno, da sempre dichiarato, per mio padre. Oggi, attraverso mesi di riflessioni e parole dette e scritte, lo guardo, lo riconosco, lo supero. Per trovare la mia strada e intraprendere il mio cammino”. Si può amare e adorare un mito, un genitore, prenderlo come modello, ma si può anche riuscire a diventare grandi e lasciare il nido. “Nel nome del rugby” racconta anche questo e parla alle famiglie e ai ragazzi. “Volevo fare qualcosa di utile – spiega la Boccaletto – . Lasciare alle famiglie una testimonianza di come un bambino e un adolescente possa crescere attraverso il rugby, secondo i valori di condivisione e spirito di squadra”. E solidarietà. Non a caso nei campus estivi a Bibione, Mauro Bergamasco coinvolge anche ragazzini down, in collaborazione con l’associazione Aipd di Venezia Mestre e il progetto “Oltre la meta”.
Una stima condivisa quella di Francesca nei confronti di Mauro da un noto personaggio del rugby: Gerge Coste. “Ammiro Mauro per il suo comportamento. La sua espressione sul terreno di gioco è emblematica della sua generosità, del suo coraggio, della sua abnegazione, del dono di sé, della sua solidarietà, della sua rudezza e della sua intelligenza”.

INFO
Titolo: Nel nome del rugby
Casa Editrice: Infinito
Autore: Mauro Bergamasco
Pagine: 111
Anno di pubblicazione: 2014
Costo: Euro 12

L’allenatore di un “bimbo scarso” scrive alla madre…

Tratto da EduCalcio.it
Questa che vi proponiamo è la lettera di Mister Andrea Checcarelli pubblicata sul sito dellaReal Virtus, destinata alla madre di un ragazzino non proprio tra i migliori della squadra, diciamo pure “scarso”. La vogliamo pubblicare perchè condividiamo a pieno i principi che essa vuole rappresentare:“Salve signora! Per me che ho allenato un anno suo figlio, sapere che è sua intenzione quella di interrompere l’attività, e’ un piccolo-grande fallimento da allenatore. Un fallimento non solo come tecnico, ma anche come persona, indipendentemente da quelle che sono le problematiche singole del bambino, della famiglia. Non essere riuscito a coinvolgerlo a pieno, a stimolarlo, ad integrarlo al meglio all’interno della squadra, a fargli migliorare quei limiti quel tanto che sarebbe bastato, a farlo considerare “più bravo” da se stesso, ma anche da sua madre… Volevo comunque dirle che suo figlio non sarà stato il migliore fisicamente, tecnicamente, tatticamente… ma eccelleva, era il più bravo, per la sua attenzione, per l’applicazione delle direttive dategli. Per il rispetto che ha sempre dimostrato nei miei confronti, durante gli allenamenti ed alle partite. In questo era il migliore. E’ sicuramente il migliore, basta farlo continuare a giocare, se è quello che lui vuole! Con tutte queste qualità umane, si può migliorare tantissimo, lavorando per colmare i suoi limiti. Glielo dice uno che, una volta, non aveva spazio a Passaggio di Bettona, nella squadra dei suoi amici e coetanei. A 14 anni stavo per smettere, andai a giocare in un altro ambiente, a Cannara, e trovai il modo di esprimere al meglio quello che avevo dentro. Di migliorare, di vincere tante partite, tante quante ne avevo perse a Passaggio quando, oltretutto, non venivo molto considerato dall’ambiente e dall’allenatore. A Passaggio di Bettona ci sono tornato a 20 anni, dopo aver vinto anche un campionato juniores nazionale per squadre dilettanti, con il Cannara. Ci sono tornato, perché m’hanno cercato loro (evidentemente qualcuno non mi aveva considerato quanto meritavo in passato) ed ho giocato e vinto tanto. Ho vinto anche un campionato anche a Passaggio, prima di infortunarmi e di smettere di giocare qualche anno fa ma smettere di giocare e’ una delle poche cose che cambierei del mio passato, glielo assicuro! Anche perché nel calcio sono riuscito a dimostrare me stesso che con la passione ed il lavoro si possono ottenere grandi soddisfazioni personali, senza sotterfugi di sorta, in maniera pulita. Solo facendosi “un culo così”, insomma. Aggiungo che le qualità che ha suo figlio, non sono assolutamente secondarie all’ interno di un contesto di gruppo. Cosi’ come e’ giusto cercare di educare, punire, ma non emarginare, un bambino dotato tecnicamente, ma maleducato, e’ altrettanto giusto permettere a che è dotato di altre qualità, e meno di altre, di potersi comunque esprimere. Oltretutto in un contesto come la Real Virtus. Una società che offre un servizio alle famiglie ed ai bambini del posto, più per funzione sociale, che per spirito competitivo, di vittoria, di primato. E’ bello vedere che gli amici del paese, possano avere un luogo di ritrovo, per la propria crescita, visto che il nostro paese non ne offre di tantissimi. Le qualità di suo figlio, sia nella vita settimanale del gruppo, che nella domenica di gara, sono molto importanti per la squadra. Anche per raggiungere quei risultati che, ogni tanto, fanno bene al gruppo stesso. Perche’ suo figlio, sopratutto grazie a voi genitori e’ un bambino che è contento di giocare anche solo 5 minuti. Si impegna, col sorriso. Fa un po’ da contraltare rispetto a chi, dotato tecnicamente, gode della fiducia del mister, a volte, non meritandosela. E gioca magari controvoglia. Non so se c’era quando fece gol; io mi ricordo bene. È stato molto bello, vederlo esultare. Una scena quasi da film…. chi l’avrebbe mai detto? Forse neanch’io, di certo… però il calcio e’ anche questo. Se ha avuto quella piccola gioia, se l’e’ sudata tutta, suo figlio. Per questo è più bella! Non lo privi di quei 5 minuti se per lui sono importanti. Alla squadra mancherebbe anche un genitore come te. In un contesto dove tutti gli animi sono esagitati, c’è maleducazione, esasperazione, persone che credono di essere mamma e papà di Messi, Maradona e Van Basten, la sua voce fuori dal coro ed il suo profilo basso, sono un esempio per gli altri genitori. Ma forse, mi permetta di dirglielo, e’ un po’ troppo fuori dal coro. Talmente tanto che finisce per uniformarsi al coro stesso… se lascia perché suo figlio”e’ scarso” diventa come quelli che credono di avere il figlio “forte” e sbraitano da fuori alla rete, peggio dei cani randagi, pretendendo spazio e importanza. E questa fine non se la meriterebbe, non la rappresenterebbe. Nel calcio ci vorrebbero più bambini come suo figlio e più genitori come lei. Pensaci e pensateci, anzi: ripensateci!”